«Non serve studiare quattro volte le guerre puniche, occorre cultura tecnica. Serve formare i giovani per le professioni del futuro, quelle di digital manager per esempio»

Non ci credo; possibile che siamo ancora a questa dicotomia trita e superficiale tra cultura umanistica e cultura scientifica?

Anzi, peggio; invece di allargare lo squardo, adesso zoomiamo ancora di più: ci serve cultura tecnica.

Spero solo che il ministro abbia espresso male quello che voleva intendere. Perchè altrimenti mi verrebbe da pensare che forse avevano ragione gli intellettuali di un secolo fa, che sostenevano: per governare devi aver fatto studi umanistici.

È vero che abbiamo bisogno di maggiore cultura scientifica, ma solo perchè abbiamo spezzettato il sapere, polverizzato la conoscenza, in tante bolle chiuse, così amate da chi gode a classificare e categorizzare tutto. Abbiamo creato il modello delle singole materie viste come scatole chiuse, pensando che vivano una loro vita senza bisogno di relazionarsi con le altre. Ed abbiamo fatto di quelle scientifiche delle bolle da temere, da cui stare alla larga.

È anche vero che abbiamo bisogno di cultura tecnica, soprattutto di ricominciare a sperimentare direttamente, con le mani, con l’artigianato, con la meccanica, con l’elettronica, con la programmazione.

Ma se lo si dice in stile guerra tra culture, allora vuol dire che non si è in grado di capire i veri bisogni educativi per la futura società o che si mira ad una tecnocrazia come modello di governo destituendo la democrazia

Perchè tornare a riaprire l’assurda contrapposizione tra cultura umanistica e cultura scientifica? Come se le due fossero delle rette parallele, impossibili ad incrociarsi, quando invece sono un groviglio di curve.

Lo dico da educatore STEAM, con la A di ARTE.

Sento e leggo già chi dice: più coding, meno filosofia, più matematica, meno storia.

Come se tutte queste non fossero tra loro collegate da profonde reti di pensiero e di fatti concreti.

Come se l’Intelligenza Artificiale non abbia a che fare con la filosofia, con la sociologia e con l’etica. Pensiamo solo a bias di cui soffrono parte degli attuali algoritmi di machine learningproprio perchè è la sola competenza tecnica a produrli.

Come se la Robotica, termine inventato da Asimov per i suoi racconti, non avesse nulla a che fare con la letteratura, di Asimov o di P.K. Dick tanto per citarne un paio; vi sembra che la Robotica non abbia nulla a che fare con l’estetica, o con la sociologia?

Pensate che si possa lavorare ai sistemi di crittografia ignorando la cifratura di Giulio Cesare, o la storia della sconfitta della macchina Enigma con la biografia di Alan Turing?

Si, possiamo anche ignorare la Filosofia, la Storia, l’Arte, la Letteratura formando tanti cervelli tecnici inscatolati nella loro isola disabitata; ignari del mondo, in quanto privati del mondo, e consci solo della loro bolla.

Cosa ci si aspetta che produrranno questi tecnici?

Tra parentesi: ho lavorato per oltre venti anni come tecnico, come ingegnere nelle telecomunicazioni, ma non mi sono mai sentito quel tipo di tecnico con cultura tecnica. Molti dei miei colleghi, quelli più bravi, venivano da studi classici; eravamo appasionati di letture varie, di cinema e di storia, ed eravamo creativi.

Oggi che mi occupo di Educazione alla Tecnologia ed alla Creatività, quando pratichiamo con la robotica, ii coding, l’elettronica, il design 3D, non manco di portare come fonte d’ispirazione o come tema dei progetti, fatti storici, libri, riferimenti filosofici, biografie di personaggi. Perchè la tecnologia non è il fine, è solo uno strumento per imparare e poi, da grandi, per migliorare il mondo.

Vi racconto un episiodio esemplare. Nel 2008 mi capitò di fare un incontro tra aziende di consulenza. Mentre eravano in attesa di iniziare, si parlava della recente gaffe fatta da un giovane manager rampante dell’allora Telecom Italia. Nel corso di una convention con il suo gruppo di venditori, il manager li aveva redarguiti con spocchia ed alteriagia per il loro scietticismo, e per sferzarli ulteriormente, fece un esempio storico:

“Napoleone a Waterloo, una pianura in Belgio, fece il suo capolavoro, tutti lo davano per fatto, per cotto, per la supremazia degli avversari, aveva cinque grandissime nazioni contro, però strategia, chiarezza delle idee, determinazione, forza, Napoleone fece il suo capolavoro a Waterloo”

Si discuteva quindi di quella gaffe con ironia, quando uno dei presenti, ex dirigente di Telecom Italia, disse piccato:

Credete che per fare il manager serva conoscere la storia?

La prima cosa che mi venne da dire fu: Allora perchè la usa nelle convention?
Il punto importante di questa storiella, non è tanto la gaffe del manager rampante (che poi si scusò), ma la difesa d’ufficio fatta dal suo ex collega.

È proprio la sola conoscenza polverizzata, quella settoriale che non ci serve; e lo sa bene chi si occupa, seriamente, di risorse umane nelle aziende. Loro parlano di soft skill e le aziende hanno capito che le persone più valide sono quelle che oltre ad avere competenze specifiche, sono dotate di creatività, sanno comunicare e condividere, sanno lavorare in gruppo, sono dotate di empatia, e leadership.

E queste doti non le nutri leggendo testi di elettronica o di ingegneria civile.

È noto che nel sud-est asiatico gli studenti abbiano ottime performance a scuola ed in particolare nelle materie scientifiche. Ma il loro sistema educativo ha una falla.

Mitchel Resnick professore al MIT Media Lab di Boston, racconta di aver incontrato nel 2013 Chen Jining, il presidente dell’Università cinese di Tsinghua, una sorta di MIT a Pechino. Durante l’incontro Chen Jining sostenne che il sistema educativo cinese non era in grado di preparare gli studenti per i futuri bisogni della società in evoluzione.

Chen Jining spiegò che il problema risiedeva nel fatto di “sfornare” studenti di tipo A, ossia bravi ad ottenere ottimi voti, ma totalmente privi di creatività, incapaci di correre dei rischi, con scarso se non inesistente spirito innovativo, incapaci a guardare oltre il recinto di quello che apprendono meccanicamente, privi di idee e di narrazioni a supporto per dargli vita.

E quindi il loro sforzo come università era / è di far crescere degli studenti di tipo X, portatori di quelle capacità.

Abbiamo bisogno di “persone X”, persone quanto più poliedriche, capaci adattarsi, di affrontare la complessità che ci circonda, con idee e visioni per un mondo migliore, persone che guardino alle utopie e non alle distopie, che è solo bello leggerle ma non esserne fautori o servitori.


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